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da mesi vivo una realtà diversa da quella a cui sono stato abituato per 20 anni, ma un pò per il senso di colpa borghese assorbito da Giovanni Truppi, un pò per cercare di non risultare scontato, mi impedisco di raccontarla. quindi alle prime battute o domande sul freddo e la neve rispondo quasi sempre con disinteresse, risultando quasi infastidito dalla banalità dei temi. snobbino.

poi mi rendo conto che:

1. forse sono il primo a volerne parlare (ipocrita)

⁠2. che cazzo dovrebbero chiedermi le persone che sanno poco più del “stai studiando in Finlandia”

per un meridionale (d’Europa, come tutti noi italiani) è anche abbastanza strano avere a che fare quotidianamente con tutta questa neve. vedere gli psicopatici che giocano ad hockey sotto la tormenta nel campo antestante la mia finestra. svegliarsi la mattina e trovare con piacere 20cm di neve che hanno ricoperto tutto il campus. uscire di casa presto e trovare le strade non ancora battute dagli scarponcini degli altri, vagando e affondando qua e là. 

l’ambiente diventa rapidamente più silenzioso, la neve attutisce il suono e rende tutto attorno più sordo, ad eccezione dello scricchiolio dei propri passi e del cinguettio delle cince. 

ogni veduta viene privata dei dettagli, quindi semplificata, compattata. all’occhio che dà uno sguardo, sono restituite solo le strutture verticali. molto spesso le cortecce degli abeti e le pareti dell’università.

questo nuovo paesaggio alleggerito da suoni e particolari mi appare fantastico. penso mi piacerebbe fosse sempre così libera la testa quando cammino per strada e vagabondo senza meta.

quest’ultimo pensiero rimane comunque abbastanza utopico ne rendo conto quando, dopo qualche giorno, la neve inizia a sciogliersi sotto il tiepido sole bianco che si fa vedere la mattina tardi. si crea questa superficie dove l’acqua mista a nevischio galleggia sul fondale di ghiaccio battuto. questo è il momento in cui non ho più modo di guardarmi troppo in giro quando cammino. devo guardare dove metto i piedi. devo stare attento a come bilanciare il peso ad ogni passo. devo trovare i punti in cui hanno sparso la brecciolina o il sale, e cercare attrito lì. devo fare passi piccoli e lenti, e scegliere i percorsi meno in pendenza. tutti i ragazzi sono coi capi chini, come in metro a Milano, ma a guardarsi gli scarponcini stavolta. cercare di non scivolare fa diventare ogni distanza più faticosa, i 400 metri che dividono il mio appartamento dalla mensa sembrano 2000. e poi sembro un coglione a camminare così piano.

però in fin dei conti va bene anche così.

2024-02-04
AMANDOCINO
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